IL RACCONTO DI UN UOMO SCONOSCIUTO

di ANATOLY VASILIEV

SUL PALCOSCENICO E IN SALA PROVE

20/05/2018 | di Natalia Isaeva  | Traduzione dal russo di Natasha Loguinova

Per gentile concessione pubblichiamo la traduzione dell’articolo scritto da Natalia Isaeva in occasione dello spettacolo “Il racconto di un uomo sconosciuto” che ha debuttato nel 2018.

Natalia Isaeva, assistente e collaboratrice permanente del regista, racconta il lavoro di Vasiliev sul testo di Cechov.

DISPOSIZIONE GEOMETRICA: IL TRIANGOLO COME SEGNO DEL DESTINO E COME SEGNO DELLA SCIAGURA. POSTFAZIONE AL LAVORO RECENTE.
La lunga maratona è terminata … Vediamo cosa abbiamo prodotto fino a qui e dove siamo arrivati … L’inizio delle prove di “Il racconto di un uomo sconosciuto” di Cechov era previsto per  novembre. Però ancora prima, in ottobre, una piccola troupe cinematografica con il cameraman Sasha Kulak e un assistente (e allo stesso tempo gondoliere) Alessio Nardin insieme a Vasiliev e due attori – Valérie Dréville e Stanislas Nordey – partirono per tre giorni a Venezia per girare un film “amatoriale” muto in bianco e nero sulle amene passeggiate  in gondola lungo i canali e la laguna … Nel mese di ottobre faceva già freddo e gli attori tremavano nelle loro camicie bianche «fin de siècle»; in compenso  la luce mutava continuamente, e il sole, seguendo il suo capriccio autunnale, faceva capolino tra le nuvole a proprio piacimento. Nello stesso periodo Vasiliev stava completando il montaggio e la preparazione al festival del suo lungometraggio “Asino”, girato in Italia su materiale documentario. Questo suo “Asino” minimalista si basa in realtà sullo stesso    concetto applicato allo spettacolo: sono presenti anche qui gli esperimenti sulla disgiunzione tra il testo e le immagini, c’è anche qui un ritmo particolare che somiglia al “raga” indiano con le sue ripetizioni e variazioni infinite, che portano,  alla fine, alla crescita di tensione, e allo sfogo di tutta l’energia in singhiozzi catartici.  

Ma torniamo al ” Racconto” … Il lavoro di Cechov su questa storia si era protratto per sei anni (e nel mezzo c’era stato anche il suo viaggio solitario a Sakhalin, dove incontrò un uomo che lo aveva ispirato alla creazione dell’immagine dello Sconosciuto – era un ergastolano condannato per motivi politici, sottufficiale della Marina Imperiale Ivan Yuvachev, il futuro padre del Daniil Charms, fondatore del movimento d’avanguardia OBERIU ); e persino nel febbraio 1893, proprio nel momento della pubblicazione del “Racconto…”, stava ancora cercando con tormento un titolo più adatto (tra quelli possibili e scartati vi era  “Gli anni Ottanta”, con un trasparente riferimento al terrore seguito all’attività  dell’organizzazione rivoluzionaria russa “Volontà del Popolo”). 

Vasiliev ha lavorato a questo progetto alcuni anni, aggirandosi attorno ed accanto a questo materiale ed alla trama. Dopo un progetto fallito con il Théâtre de la Ville, sceglie alcuni racconti di Cechov maturo, che sembrano “Dostoevskiani ” nello spirito (non si tratta solo dello “Sconosciuto”, ma anche, per esempio, del  “Duello”), e li usa come testi di lavoro pratico durante le lezioni a Venezia  con giovani attori e registi italiani nel progetto “Isola della Pedagogia”. Ha poi ripreso e portato avanti questo lavoro durante la residenza artistica a Wrocław, nel Grotowski Institute, dove  Vasiliev lavorava contemporaneamente sul “Racconto di un uomo sconosciuto” e su “L’innesto» di Pirandello. Durante questi pellegrinaggi-viaggiprove aveva già fatto uno studio preliminare dell’adattamento teatrale del “Racconto”.

“Le prove sono durate più a lungo del solito – Vasiliev ha negoziato e ha ottenuto  tre interi  mesi  di lavoro. Fin dall’inizio, voleva trovare una via indiretta, alternativa per scorporare, forzatamente estrarre il contenuto drammatico da un testo narrativo lento.”

Nella scelta degli attori, Vasiliev preferì alcuni con cui aveva lavorato in precedenza. 

Zinaida Fjodorovna, come avevo già accennato, è stata interpretata da Valerie Dreville, quella Valerie, sulla quale si reggeva  in gran parte l’intero spettacolo “Masquerade” (Le Bal masqué) alla Comédie-Française. Sava Lolov, ha avuto il ruolo  del conte Orlov e conosce Vasiliev sin dai tempi della Scuola dei Maestri (Ecole de Maitres) ed inoltre ha cercato di partecipare a tutti gli stage di Vasiliev negli ultimi anni in ARTA. E L’attore Stanislas che aveva recitato tempo addietro con Valerie in “Therese-Philosopher” all’Odeon, e poi, in qualità di direttore, aveva messo in atto lo scorso anno la produzione di una nuova versione di “Medea” nel suo “Théâtre National de Strasbourg”.                    

Le prove sono durate più a lungo del solito – Vasiliev ha negoziato e ha ottenuto  tre interi  mesi  di lavoro. Fin dall’inizio, voleva trovare una via indiretta, alternativa per scorporare, forzatamente estrarre il contenuto drammatico da un testo narrativo lento. Secondo Vasiliev la piece più adatta per riuscire a fare ciò era “Platonov”, una piece del primo periodo di Cechov, che appariva troppo strana persino ai contemporanei; per questo lavoro sembrava  la più adatta, anche se in essa ci sono troppi personaggi , molto selvaggi e legati dal  passioni immotivate. A questo “Platonov” abbiamo dedicato un mese e mezzo di lavoro, e solo dopo il trasferimento a Strasburgo, quando eravamo già nella sala prove del TNC, abbiamo iniziato gli studi dettagliati proprio sul “Racconto”.  Abbiamo lavorato sul testo di “Platonov” nella traduzione di Andre Markovich, e per il “Racconto” si supponeva di lavorare sulla base dell’ultima edizione francese delle novelle di Cechov, ma non ne è venuto fuori nulla … È stato necessario, fin dall’inizio, fare degli spietati tagli del testo alle esistenti versioni francesi. All’inizio avevo proposto la mia versione dell’adattamento scenico del testo, ma alla fine non sono riuscita (come invece avevo immaginato prima) a fare qualcosa tipo un collage di diversi pezzetti delle traduzioni esistenti. É noto che la prassi francese nel tradurre gli autori russi tende a  smorzarli e  ad appianarli troppo, è come se se ne facesse la mediazione educata, come se si appiattisse oltre al lessico anche il profondo senso interiore della narrazione. Vasiliev, invece,  aveva bisogno di un Cechov testuale, tradotto alla lettera: graffiante e un po’ maleducato, con le battute imbarazzanti e con un certo senso di goffaggine da orso. Facendo le modifiche  del testo scenico io, insieme agli attori, ho riletto più volte i punti più difficili. Ho cercato di mostrare loro esattamente le opzioni di traduzione più dirette, più vicine al testo originale (e più delle volte, proprio tali pezzi ruvidi e taglienti sono rimasti nella versione definitiva). Di conseguenza il risultato è stato un Cechov con un centro di gravità notevolmente spostato in direzione di Dostoevskij (e con evidenti intonazioni di Lebyadkin , protagonista del romanzo “I Demoni”), un Cechov ruvido,terreno, terre-à-terre, ma, stranamente, molto più adatto per la trasmissione di idee metafisiche.

   Quindi anche tutta la composizione è  cambiata in modo significativo. Per esempio, Vasiliev ha spostato il Prologo al centro della performance, interrompendo il corso dello spettacolo con un intervallo non annunciato. Inizialmente erano previsti sei capitoli (quattro con il conte Orlov e due con l’Ignoto, poi il Prologo dell’Ignoto e l’Epilogo sotto forma di un incontro tra due uomini dopo la morte di Zinaida). Mi erano molto chiare le intenzioni di Vasiliev: in un primo momento avrebbe voluto mostrare tutto “dal vivo”, perchè il pubblico potesse avere la percezione di stare dentro qualche esperienza, lasciando i significati sfocati, e l’azione ,in parte, oscura e misteriosa. Stanislas ebbe grandi difficoltà ad entrare all’interno di queste strutture. Lui, anche lavorando su Pirandello, o affrontando Peter Handke o Tarkovsky, era abituato a spiegare al suo pubblico cosa e perché sta accadendo sul palco. Lui non riusci fino alla fine a fidarsi completamente di Vasiliev, per seguirlo all’interno del labirinto, dove, volente o nolente, vai avanti brancolando, dove ogni nuova svolta dietro l’angolo significa una perdita di equilibrio e di stabilità… Del Prologo Vasiliev aveva l’immagine molto più svariata… Alla fine abbiamo dovuto ridurre a poche battute la quinta scena (l’accordo e la fuga dello Sconosciuto con Zinaida).  

 

      In realtà, l’ostacolo più forte per gli attori è stato il famoso metodo di Vasiliev degli “etjud”, che  si basa sugli esperimenti di Maria Knebel (nella sua “analisi mediante l’azione”, cioè, essenzialmente, sull’improvvisazione strutturata sui temi del materiale drammaturgico) e su Mikhail Cechov.(Ad un lettore interessato posso suggerire una eccellente edizione francese di “Analyse-action” preparata da Vasiliev nel 2006, quando era direttore artistico del dipartimento di regia della scuola ENSATT di Lione). Ma persino anche questa pratica , abbastanza insolita per un attore francese, doveva essere drammaticamente ribaltata. Vasiliev, che personalmente  preferisce parlare di pratica “situativa” o addirittura “psicologica”,  in realtà  non  intende semplicemente insegnare all’attore l’abilità  di liberare la memoria emotiva o la capacità di agire “a partire da se stesso” all’interno delle ben note  “circostanze proposte” della scuola psicologica russa. Anche qui è necessario fare un altro chiarimento: persino i nostri (russi) attori  che hanno recitato con  Vasilyev e  per Vasilyev, persino, come si dice qui, l’attrice “emblematica” Valerie Dreville, all’inizio prevalentemente hanno lavorato con le “strutture ludiche”, basandosi principalmente sui mezzi verbali di messa in scena. Ma Cechov è semplicemente impossibile senza qualche rivestimento psicologico, senza una base riconducibile all’animo umano,  senza un vero e reale processo emotivo interiore… Beh, in somma, senza negare completamente tutte le impostazioni teatrali francesi del “Paradosso dell’attore” di Denis Diderot … Alla fine, nel periodo di prove a Parigi, siamo riusciti a fare una proficua camminata su tutto il “Platonov”. Gli attori (principalmente Valerie e Sava, dal momento che Stan si unì a noi solo a gennaio, dopo aver perso un mese e mezzo di lavoro) per mezzo degli etjud hanno recitato per intero le quindici scene. La futura Zinaida cominciò a delinearsi qui da qualche parte sull’ incrociarsi  della apertamente sensuale “generalessa” Anna Petrovna e dell’idealista appassionata Sophia Yegorovna. Invece Orlov  si sprofondava con tutto sé stesso nella storia di Platonov… Anche lo Sconosciuto sarebbe dovuto essere il prodotto   dello stesso Platonov moltiplicato per Osip, il mistico assassino. Qui vorrei anticipare una cosa:  questa formazione preliminare degli attori con il metodo di etjud nella pratica di Vasilyev non si riduce a “psicologia”, a situazioni realistiche della vita, all’imitazione della vita, anche quando sinceramente vissuta interiormente. Piuttosto, stiamo parlando della generazione e del rilascio di energia, l’energia primaria, assolutamente spontanea, quasi animale. Quella potente energia che è simile al dispiegamento dell’ ενέργεια della tradizione isica ortodossa  o al battito, alla pulsazione dello shakti nella teoria e nella pratica degli Shivaiti Kashmiri. Il nucleo stesso della vera vita, il raggio focalizzato di passione elettrizzata… Qui all’attore viene richiesto prima di tutto il coraggio, una sorta di spudoratezza, la capacità di aprirsi fino in fondo, e non si sa mai dove l’etjud lo porterà. Fino all’erotismo al confine con la pornografia, o una vera isteria, o l’improvviso arrivo di  una ondata di una immagine mezza dimenticata, che ti coglie di sorpresa … Perciò  l’etjud  è una pratica piuttosto intima, basata sulla fiducia totale tra il maestro e l’allievo. Quando si guardano gli attori drammatici francesi  sul palco, persino nel momento dell’abbraccio,  sembra che fra  i corpi    sia stata frapposta la pellicola di cellophane, tanto sono sterili nella loro passione. E qui, nella pratica degli etjud, i cui riflessi si conservano anche dopo, nello spettacolo  è assolutamente palpabile prima di tutto questa reciproca  attrazione tra i partner. Persino a distanza continua ad esistere una sorta di diffusione corporea e sensuale, mescolanza ed interscambio della carne; è il processo fisiologico , che poi  miracolosamente si interconnette con lo spirito. Non si deve dire che etjud porta alla psicologia, anche se a prima vista lo potrebbe sembrare! La sentimentalità qui non c’è nemmeno per sogno. C’è l’intrusione senza cerimonie della carne nell’ambito spirituale e l’intrusione senza cerimonie dello spirito nel mondo carnale…Invece di un’ installazione squisita  c’è un mondo vivo e instabile riscaldato dal respiro della vita …  

Lo spettacolo di per se’ sembra continuare l’ultima serie di esperimenti di Vasiliev, i quali, in parte, sono iniziati con la “Medea” di Euripide messa in scena con gli attori greci nell’antico teatro di  Epidauro, poi c’è stato il periodo ungherese con  Marguerite  Duras (lì, a Kaposchwar e Budapest, ha messo in scena ” Giornate intere fra gli  alberi”), ma soprattutto in “Musica” e “Seconda Musica” a Vieux-Colombier a Parigi due anni fa.Qui abbiamo un Vasiliev completamente nuovo, che costruisce con   sorprendente tenacia la sua Scala di Giacobbe, un ponticello verticale tra la terra e il cielo, sul quale liberamente salgono su non più angeli, ma noi, il pubblico, se, naturalmente, gli attori sono in grado di indicarci la strada. In sostanza, è proprio per questo che lui aveva bisogno degli etjud  con la loro esperienza di apertura  psicofisica, di denudazione, in modo da potere  poi, su questa base – carnale, sensuale, spudoratamente emozionale – costruire un percorso nelle strutture ludiche, nella metafisica, nel tentativo di visionismo quasi-religioso … In questo senso i due atti della nostra performance di quattro ore rappresentano proprio  un viaggio del genere: non è una esposizione narrativa di una certa storia, anche se  modellata ad arte, ma il percorso va più su, su, oltre l’orizzonte, oltre la linea della morte e la possibile risurrezione.

    Nei cambiamenti di scenografia l’unica cosa costante è quella dell’anfiteatro greco con un fondale disegnato. La tripla divisione dello spazio: un orchestra semicircolare (arena), un proscenio sui cui gradini  gli attori salgono e che è separato in profondità da un muro bianco basso con tre porte, e, infine, la scena, la quale è solo parzialmente aperta alla vista, possiamo solo immaginare alcuni eventi sbirciando nelle aperture. Attraverso le porte (quando sono aperte) e sopra la parete di legno possiamo vedere un enorme pannello, un telo di seta, tagliato a strisce verticali, fissate con corde laterali. La prima immagine che funge da sfondo per l’intero primo atto è una stampa su una cartolina postale,   una vista di San Pietroburgo    su uno sfondo  mattone ocra. Nel secondo atto per  lo sfondo verrà usata una cartolina di Venezia, stampata su seta giallo solare. Questi due teli servono per nascondere una costruzione, una sorta di impalcatura di bambù che sale su; la vedremo in Epilogo come uno scheletro spudoratamente denudato dell’azione stessa.Infine, al centro dell’arena è piantato un alto palo simile all’albero di una nave, o forse un palo da spogliarellista, oppure  un enorme ombrellone da spiaggia, torreggiante su sedie a sdraio pieghevoli… Questo palo,   segno di vagabondaggio, ci dà allo stesso tempo un’immagine dell’albero del mondo che viene eretto in India durante le feste teatrali rituali, in sostanza è l’asse del mondo intorno al quale numerosi corpi, come miraggi, raccontano le loro storie orientali. Tale albero del mondo di solito imposta il paradigma della tripla verticale che divide l’universo in mondo celeste, mondo medio e inferiore. Invece, la struttura del teatro greco (o tempio) con la sua tripla divisione orizzontale dello spazio  è immediatamente e chiaramente riconoscibile dal pubblico competente, i testimoni dell’azione sono già inconsciamente in attesa del dispiegamento della tragedia, e non di una narrazione di qualche novelluccia intrecciata su dramma da salotto.

In tutte e quattro le prime scene lo Sconosciuto serve in silenzio questi amanti-aristocratici della fine del secolo, tirando fuori innumerevoli tavoli con tazzine come segno di infinite notti insonni con caffè e sigarette, con libri, con incontri di gioco a carte …

   Il primo atto (il primo capitolo della messa in scena di Vasiliev) è preceduto da un’azione fisica astratta nell’arena, che inizia con i movimenti di Valerie in una parvenza di una strana danza, che ancor prima di tutte le parole ci trasmette sia la misura d’amore che la misura di divertente ingenuità e di apertura della sua eroina. Per la prima volta Vasiliev ha deciso di introdurre in una vera e propria produzione scenica le azioni fisiche prese dalla pratica di etjud. Non si tratta di imparare e fissare una sequenza di passi , ma si tratta ogni volta di una improvvisazione libera, cioè quando al posto dell’attore parlano  il suo corpo e la sua psiche. Più avanti, man mano che l’intreccio si dipana, Sava si unirà a questi strani movimenti nell’arena, in prossimità di spettatori storditi. Le parole semplici e grossolane improvvisamente acquistano un doppio senso, un’altra dimensione, quando il cuore di Zinaida si spezza sempre più in questo amore sfortunato, e Orlov, nonostante avesse accuratamente eretto le barriere protettive, diventa palesemente visibile in tutto il suo egoismo e nel indubbio fascino maschile e in qualche premonizione lontana di un tragico schianto… In tutte e quattro le prime scene lo Sconosciuto serve in silenzio questi amanti-aristocratici della fine del secolo, tirando fuori innumerevoli tavoli con tazzine come segno di infinite notti insonni con caffè e sigarette, con libri, con incontri di gioco a carte … Zinaida agita un coltello, mangia una pera, litiga, fa la pace, ma sembra già capire che la sua vita in questa casa è giunta al termine. E per la prima volta in tutto il tempo, attraverso la porta aperta sul palco, vediamo come il cameriere si abbassa, aiuta la padrona di casa a indossare le scarpe e le tocca delicatamente le gambe … E ora lei bussa alla porta chiusa invano, e poi va dietro le quinte, semplicemente dietro il divisorio: questa piece è finita per lei.

Poi tutto il corso della storia della vita umana si spezza bruscamente. Cechov in qualche modo    sbanda mostruosamente e il suo stile si sposta più vicino a Gogol o Dostoevskij, oppure anche a Kafka. Stanislas esce con il suo Prologo in abiti ordinari, come se cercasse di raccontare al pubblico la storia del suo personaggio, un omicida -terrorista, che in realtà aveva cercato solo di avvicinarsi alla sua futura vittima – il padre di Orlov, un grande nobiluomo. Dopo un breve intervallo egli raccoglierà le bottiglie di champagne vuote, accumulate vicino al muro bianco, in un sacco bianco a maglia, il quale si allungherà, improvvisamente facendo crescere le braccia e le gambe, si trasformerà in una figura enorme del dignitario che si è presentato in visita. L’ex cameriere spara a questa silhouette di fantoccio, tuona una terribile esplosione con lampi di fuoco, le bottiglie rotolano per  tutto il palco …    Lo Sconosciuto, invece di correre via immediatamente, scrive una lunga minuziosa lettera a Orlov, il pannello – la cartolina con l’immagine di San Pietroburgo – cade improvvisamente e da sotto di esso appare la foto di Venezia, canali, gondola … Quindi la strada ci porterà lì! Zinaida Fjodorovna si mette  un cappello e subito, sotto il suo sguardo,    sboccia un fiore blu, la cupola di un ombrellone da spiaggia, sembra  illuminato dall’interno dalla promessa di una felicità impossibile… 

Zinaida prende una valigia, lo Sconosciuto trascina improvvisamente sul palco un lenzuolo  d’albergo, da cui abilmente viene costruita  una vela o uno schermo, dove viene proiettato il nostro film amatoriale dei  viaggi veneziani attraverso la laguna e i canali: l’immagine della immeritata e non ancora intorbidita felicità… 

Cambio completo di luce – invece di una illuminazione da interni, quasi come quella domestica della vita passata a San Pietroburgo, arriva un raggio freddo abbagliante, che si stende sulla stessa scena, colorandola di  colori in Stile Art Nouveau, di alcune sfumature impensabili di giallo limone o lilla. Tra queste linee geometriche e i piani che si incrociano, nella miscela di luce potente (e non come accade nei raffinati francesi) erompe il flusso inarrestabile dell’energia viva, di quel tipo di forza  che assume una varietà di aspetti e forme, quello che (nelle fiabe russe con i suoi incantesimi), dopo aver dato un colpo al suolo, si capovolge per  tre volte, si scuote e appare  davanti a noi come il cavallo magico Sivka-Burka profetico kaurka…

Anche i costumi cambiano drasticamente: nella prima parte siamo ancora nell’Ottocento, qui i modelli sono quasi storici, anche se realizzati tutti in verde/verdastro palude monocromo (il pittore e costumista era Vadim Andreev), invece la parte di  Venezia è realizzata dal pittore e costumista Renato Bianchi, il quale aveva quasi sempre collaborato con Vasiliev ai suoi progetti a Parigi. Zinaida, incinta, con una pancia enorme, indossa pantaloni e uno smoking. Lo Sconosciuto guarda il suo film da una poltrona a sdraio, in un abito estivo beige chiaro.

Cambia il modo di parlare, adesso diventa molto più vicino agli esercizi verbali dell’ ultimo Vasiliev. Tutte le emozioni nude sono incorporate    nella parola, all’interno dell’impulso fonetico, tutta la passione si crea con una pressione quasi tattile e palpabile di questo discorso. Ecco davanti a noi una donna che sa amare solo le idee, prendendole interamente   dall’uomo che le produce. Quando la sensualità risponde solo alla chiamata di genio, di individualità o talento di un partner. Quando – attraverso la sua testa – si ama qualche immagine vaga, l’impronta dell’eternità, un segno del destino immortale. Come un meccanismo a carica Zinaida ripete le stesse parole, dicendo con insistenza di essere sempre “sincera”. Cioè – insiste di essere aperta e disponibile ad abbandonarsi, visto che a breve una qualche passione metafisica oscura la coprirà con la sua ala. Ma il suo attuale oggetto d’amore: o non ha più voglia o si è stancato… Adesso si annoia ad uccidere per il bene della sua idea, e lei, di lui così, non ha bisogno. Ballano ancora, si spogliano, su quest’ultima spiaggia vicino all’hotel, ancora cercando di provare le stesse camicie del film felice. Ma il destino ha già detto la sua parola e Zinaida la sente, la sente fin troppo bene.  Va al piano di sopra, sull’impalcatura scenica, poi esce per un po’ dalla porta aperta. Sullo schermo, in azione parallela del film in bianco e nero, non vediamo più infinite passeggiate in gondola, ma le mani che accarezzino sotto la sottoveste  il ventre gonfio per la gravidanza. Ed ecco Zinaida, è tornata, indossa la stessa sottoveste, nelle sue mani ha una bacinella smaltata bianca e una serie di strumenti chirurgici. Siamo freddamente inorriditi nel vedere un strano tipo di danze     tribali ballate   sopra questa bacinella, con  la camicia arrotolata in su ,aprendo al nostro sguardo uno spaventoso ventre trasparente, in cui in un sacchetto di plastica con acqua si trova un bambino in posizione fetale. Ancora una volta brilla il coltello, proprio quello che ricordiamo dal primo atto… Valerie taglia intrepidamente la plastica del suo rivestimento, l’acqua si trasforma in sangue, il bambino cade nella bacinella. E tutto questo accade con una luce penetrante e abbagliante che era cresciuta improvvisamente fino a una brillantezza insopportabile, è cresciuta con l’ Adagietto di Mahler, con questa musica che ci rimanda a “Morte a Venezia”, con musica che ci ha accompagnato come ossessione per tutto l’atto, ma solo adesso è cresciuta fino a diventare un tuono, il rumore bianco, l’esperienza intollerabile della catarsi… E Zinaida morta si siede su una sedia – lei rimarrà qui fino alla fine dello spettacolo, come materiale di scena usato e abbandonato, come questi innumerevoli tavolini e sedie che strisciano sempre più vicino al pubblico, come bottiglie vuote che rotolano dappertutto, come abbigliamento usato e  abbandonato, perchè non serve più…

     Сade il secondo pannello, dietro c’è una nuda carcassa  dell’esistenza – impalcature di bambù, dove il vento improvvisamente comincia a soffiare con un fischio,  e dove sta ,tutto in nero,  la nostra vecchia conoscenza, il Conte Orlov. Lo Sconosciuto attraversa tutto lo spazio del  palcoscenico, e arriva allo stesso ultimo limite, dove Orlov lo aiuterà a cambiare l’abito, in una redingote nera. Epilogo. Purgatorio. La loro strana danza insieme, e poi – l’ultimo passaggio, le ultime spiegazioni. Orlov legge da un vecchio libro del marchese de Sade un episodio dedicato alla morte di Giustina, incenerita dal fuoco celeste che l’ha colpita in bocca per  quel troppo chiacchierare, e nella vagina per aver amato  troppo.  Ebbene, lo Sconosciuto per la prima volta formula per se stesso e per il suo attuale interlocutore il suo principale credo filosofico: in realtà lui si basa solo sulla passione, sulle forze della natura, non è pronto ad accettare il ragionamento europeo e la fede europea nel determinismo, nella ragionevolezza dell’esistenza, nella conoscenza positiva…

Qui, ancora una volta tra parentesi, faccio un osservazione: in questo spettacolo Stan è stato l’unico che nel suo ruolo non è riuscito a raggiungere il livello necessario. Penso che se avesse partecipato alle prove sin dall’inizio eseguendo tutti gli esercizi preliminari il risultato sarebbe stato diverso. Vasiliev voleva in realtà fare dello Sconosciuto una sorta di intreccio tra  un nevrotico rappresentante dell’intellighenzia e un cavaliere nero, un assassino, guidato da una passione spontanea, sulla quale nemmeno lui stesso ha più il potere. Ecco perché nell’Epilogo alla fine è stata inserita la scena con Osip, che  viene ad uccidere Platonov. Dal momento che Stan è riuscito a far fronte solamente alla sua preferita specializzazione attoriale (ampluà) di un rivoluzionario di sinistra sofferente, con il ruolo di eterno adolescente, vulnerabile ed egocentrico, lo spettacolo non è diventato fino in fondo una dichiarazione importante sulla Russia, come Vasiliev avrebbe voluto. É rimasta solo Zinaida a rappresentare l’immagine della Russia: il paese, che si invaghisce di qualsiasi bandito pur di sentire la sorda voce della passione. ” /A un qualsiasi incantatore /doni la bellezza impetuosa!/”. Quella rivoluzione che Cechov ha mancato per poco.  Questa rivoluzione, dopo la quale abbiamo  il diritto di chiederci: allora chi ha dato alla luce, questo sfortunato paese? È stato un parto o un aborto fatale? Nè topo, nè rana…

     

La speranza arriva inaspettatamente alla fine. Qualcuno entra nell’arena – un’altra eterna ragazza che balla con una bambola di pezza delle sue stesse dimensioni  (è la nostra attrice circense Romane Rassendren). Che si tratti di Zinaida Fedorovna stessa, ancora molto giovane in gonnellina da circo, in   pantaloncini a palloncino corti o di sua figlia, getta la bambola, o, meglio dire, la lancia senza pietà contro un palo di metallo e comincia ostinatamente a salire sotto la cupola blu dell’ombrellone, su cui vi è scritto in italiano “Il Paradiso”.  Non striscia come su una corda, ma sgambetta facilmente arrampicandosi con le punta delle dita, scivola giù, sale di nuovo, sempre più in alto … Beh, almeno ci ha provato! L’ombrello si chiude, nascondendola in cima, in completo oblio di distruzione, o nei palmi di qualche dio misericordioso. 

Ecco che tipo di spettacolo alla fine è venuto fuori; è andato in scena, oltre a Strasburgo, a Bobigny (MC93) e Rennes. Ogni volta, come accade sempre con gli ultimi spettacoli di Vasiliev in Francia, il pubblico era in continuo aumento, garantendo, nuovamente, alla fine (dopo che i rispettabili abbonati avevano assistito allo spettacolo) sale piene di un emozionato pubblico giovane. Così a Bobigny nel’ultimo giorno della nostra tournee, la direttrice del teatro Hortense Archambau era seduta sui gradini – non c’erano più  a disposizione nemmeno i cuscini…

Autore delle foto: Jean-Louis Fernandez